ATTUALE

L’emergenza non è finita, anzi

Il reparto di gastroenterologia di Bolzano alle prese con meno spazi e tempi allungati
La Dr.ssa Lucia Piazzi mostra le tre fasi di vestizione: Tuta protettiva, gilet di piombo e sopra un ulteriore camice. E poi copricapo, visiera e mascherina FFP3. E questo anche in piena estate!
“Alla fine ci è andata anche bene.” Tira quasi un sospiro la Dr.ssa Lucia Piazzi, primario facente funzione del Reparto di Gastroenterologia all’Ospedale di Bolzano, anche se per lei o meglio il suo reparto l’emergenza non è per niente finita. “L’entità di questa epidemia, poi diventata pandemia, all’inizio ci è un po’ sfuggita, quando giungevano le prime notizie dalla Lombardia.”
Invece quando poi è esplosa, da un momento all'altro, si sono rapidamente adeguati. Il suo reparto è abituato all’emergenza, da sempre combatte con carenza di spazi mancanti e lunghe liste di attesa. Una situazione certo non migliorata con il Covid. “Complessivamente prima di marzo si effettuavano 40 esami endoscopici al giorno, adesso sono tra 20 e 25.”
Durante l’emergenza Covid sono state eseguite solo le prestazioni urgenti in pazienti ricoverati o inviati dal Pronto Soccorso, mentre le visite di routine, gli esami endoscopici non urgenti /prioritari, le colonscopie di screening sono tutti stati spostati e il reparto ancora oggi è alle prese con lunghissime liste d’attesa.
“Certo, durante l'emergenza si è complicato tutto. Per gli spazi ridotti, per il fatto che abbiamo dovuto riorganizzare tutto, definire una procedura per la prevenzione ed il controllo dell’infezione da Covid-19 nel Servizio di Endoscopia digestiva, in quanto tutti gli esami endoscopici sono procedure a rischio di esposizione e infezione per il personale sanitario, reperire i dispositivi di protezione individuale (DPI), normalizzare alcune situazioni e anche abituarci a lavorare in condizioni certo non facili.”
Attività resa più complessa dalla vestizione (tuta, doppi guanti, maschera FFP3, visiera ecc). e da tutte le misure di sicurezza necessarie sia all’interno del servizio che per le prestazioni erogate direttamente in area Covid. “Per la difficoltà, soprattutto i primi tempi, a reperire un quantitativo adeguato di DPI, siamo stati costretti a vivere alla giornata, ma posso assicurare che niente è stato preso sotto gamba”, ribadisce la Dr.ssa Piazzi.
Nella fase di ripresa rimane difficile fare fronte alle liste d’attesa, visto che una sala endoscopica non può essere utilizzata in quanto il ricambio d’aria è inadeguato e la sala non è finestrata. Anziché quattro ci sono quindi solo tre sale endoscopiche attive ed una per le ecografie ed eco-endoscopie. A ciò si aggiunge l’allungamento dei tempi per singolo esame: “Dopo ogni esame dobbiamo areare il locale, a parte ovviamente igienizzare tutto”. Non meno importante il problema di capienza sia della sala d’attesa che della sala di risveglio, che si è ridotta per la necessità di garantire il distanziamento di sicurezza tra i pazienti, per cui è possibile ospitare al massimo rispettivamente 5 e 3 pazienti.
A tutto ciò, spiega la Primaria facente funzione, “si aggiunge la carenza di personale infermieristico, in quanto non tutti gli infermieri che durante la fase di emergenza sono stati spostati in reparti Covid sono rientrati. Con i turni di reperibilità da coprire e le ferie già programmate stiamo davvero lavorando con l’organico all’osso!”
Come ha vissuto personalmente la pandemia? “Ho vissuto un periodo di maggiore preoccupazione, di maggiore difficoltà, ma non ho mai avuto la sensazione di esserne travolta. Ogni paziente è stato gestito come se fosse Covid positivo, sicché abbiamo lavorato sempre con la massima cautela." Da quando è ripresa l’attività endoscopica, ogni paziente viene sottoposto ad un accurato triage telefonico prima dell’accesso al servizio di endoscopia e ad un questionario all’arrivo prima dell'esame, per poter classificare il paziente ad alto o basso rischio di infezione SARS-CoV-2. Nel frattempo sono ricominciati non solo gli esami urgenti, ma anche quelli prioritari.“
Ha risentito dell’emergenza Covid-19 anche lo screening, ribadisce la Dr.ssa Piazzi. Dopo la fase di arresto durante il lockdown lo screening del cancro del colon retto è ripartito ed ora in lista d’attesa ci sono anche le colonscopie di screening. Secondo il programma di screening del tumore del colon-retto, dopo un test per il sangue occulto fecale positivo, bisognerebbe effettuare una colonscopia entro trenta giorni. “Non ci stiamo dentro!"
Manca una sala endoscopica. "Anzi due, perché da anni siamo in attesa di una sala dedicata allo screening e ci manca il personale infermieristico! Abbiamo dovuto spostare anche le colonscopie di follow-up post-screening programmati, così come i controlli a chi dovrebbe fare la colonscopia ogni cinque anni per familiarità.” In questo caso, spiega la primaria di Gastroenterologia, bisogna prenotarsi con un anno di anticipo. “Chi si ricorda della prenotazione solo due mesi prima, non può fare l’esame, è impossibile. Ma il programmabile è solo un problema se non è programmato: i pazienti devono ricordarsi per tempo!”
Per far fronte al problema spazi e tempi, secondo il reparto è necessario trovare una sede più spaziosa per il Servizio di Endoscopia, oltre ad un aumento del personale soprattutto infermieristico. Nel frattempo per ridurre almeno in parte i tempi d’attesa, il reparto potrebbe ricorrere a prestazioni aggiuntive, cioè a straordinari, come prospettato dall’Azienda, proposta accolta da una parte dei medici del reparto. Manca ancora la risposta da parte del personale infermieristico (data di riferimento 6 luglio, n.d.r.).
La Dr.ssa Piazzi vorrebbe, per poter velocizzare il servizio, poter fare il tampone e la sierologia per Covid-19 a tutti i pazienti prima dell’esame. “Così potremmo essere più tranquilli noi, lavorare meglio, con un abbigliamento più leggero e riducendo i tempi dell’esame.” E poi si potrebbe disporre meglio degli spazi. Intanto la Primaria sta aspettando che venga definita la procedura per i pazienti ambulatoriali… mentre le liste di attesa continuano a crescere…

ATTUALE

Un buona palestra di vita

La primaria Sonia Prader, Bressanone: più uniti nel team
Può suonare strano ma, guardandosi indietro, la Dr.ssa Sonia Prader, primaria di Ginecologia e Ostetricia dell'Ospedale di Bressanone, dice che il Covid è stato, da certi punti di vista, un periodo positivo. Positivo, perché lei e la sua squadra si sono avvicinati ancora di più, perché si era chiamati in causa soprattutto come medici e non come "burocrati", perché attraverso un flusso costante di informazioni e una perfetta collaborazione si è riusciti a organizzare tutto in modo adeguato, perché nessun componente del suo reparto, né ostetriche, né infermiere, né medici dell'ospedale è stato contagiato. "E abbiamo fatto partorire delle donne gardenesi che erano in stato di quarantena!"
La Dr.ssa Prader ha iniziato a lavorare in reparto il 2 gennaio e dopo appena due mesi è arrivato il lockdown. Troppo poco tempo per costruire una routine, ma abbastanza per conoscere il reparto quel tanto da poterlo ristrutturare con cura e con un lavoro di squadra. "All'inizio sono stata impegnata per diversi giorni solo per calmare tutti, per spiegare le poche cose che si sapevano e per concentrarmi passo dopo passo e con cautela sul modo di procedere. Il personale aveva comprensibilmente paure e incertezze che dovevano essere superate. Quali sono i pericoli per me e la mia famiglia, come posso proteggermi? Si trattava di portare tutto da un livello emotivo a un livello razionale. Poi tutto ha funzionato".
Il problema maggiore sono state le pazienti oncologiche. "A seconda della patologia e dell'urgenza, abbiamo dovuto posticipare gli appuntamenti per le visite di controllo da tre a sei mesi. Ci siamo messi al telefono subito dopo il lockdown e abbiamo contattato le pazienti. A marzo abbiamo ipotizzato che tutto sarebbe tornato alla normalità entro luglio…“
Anche durante la chiusura sono stati effettuati interventi urgenti al seno (10-15) e interventi ginecologici oncologici (5-7) a Bolzano. "Nella prima fase sono stati eseguiti solo gli interventi di emergenza e i tagli cesarei. Già dopo Pasqua abbiamo riportato il numero di interventi per neoplasie ai livelli pre-Covid". Sono stati fatti i tamponi a tutte le pazienti che hanno subito un intervento chirurgico o un taglio cesareo, e subito dopo sono stati effettuati test anticorpali. "Non tanto per la nostra sicurezza, in quanto eravamo protetti, ma nell'interesse delle pazienti e delle persone a contatto con loro", sottolinea la Dr.ssa Sonia Prader.
Da un punto di vista personale la Primaria vede l’attuale pandemia da Covid come un periodo di maturazione. Adattarsi dall’oggi al domani a qualcosa di assolutamente imprevedibile, è una buona palestra di vita. “Ho capito come funziono in una situazione di crisi, ossia sulla base del motto: diamoci da fare.”
Se c'era una qualità di cui c’era gran bisogno, questa è stata il pragmatismo e con esso la capacità di accettare l'insicurezza e di prendere decisioni rapide. "Da una parte, c'erano linee guida e direttive aggiornate quotidianamente, d'altra parte era necessario reagire immediatamente". Due estremi che hanno caratterizzato la situazione in tutto il distretto della Valle Isarco. "Alla fine la stretta collaborazione nel team si è rivelata una ricetta di successo, un sano mix di persone che tendono ad agire con cautela e in modo riflessivo e altre che agiscono istintivamente e rapidamente. Ci sono volute entrambe le cose per prendere decisioni sensate", sottolinea la Primaria. Nel complesso, la pandemia è stata un momento importante per l'intero ospedale. "Abbiamo imparato a fare affidamento l'uno sull'altro!"
L'ospedale di Bressanone
Anche tra le pazienti si sono potute osservare reazioni molto diverse, persone che facevano finta di niente e persone che per paura sono diventate estremamente prudenti. "Una cosa è certa", dice la Dr.ssa Sonia Prader, "il Covid-19 ha influito su tutti noi, anche se forse non ne siamo ancora consapevoli". Il futuro ci dimostrerà se si possa parlare di una sorta di trauma collettivo.
All'inizio molte persone si sono confrontate con la paura del nuovo, dell’ignoto che ci minaccia, con il tema della morte, con la propria finitezza e quella dei familiari e dei conoscenti. "Penso che sia importante fare i conti con temi così profondi e vicini all’essenza delle cose e quindi affrontarli passo dopo passo. I politici hanno fatto un grande lavoro nel gestire la fase acuta e nel guidarci attraverso le difficoltà, ma ora dovrebbe aprirsi una vera discussione sui possibili miglioramenti del sistema (non solo sanitario) e sulla preparazione a ulteriori situazioni di crisi. Per ora ho l'impressione che l'esame attivo dei punti deboli non sia considerato davvero prioritario. "Se non ci si esprime, se non si è consapevoli di ciò che questa esperienza ha messo in moto, anche a lungo termine, in ogni individuo così come a livello di sistema, allora la paura che abbiamo vissuto non se ne va, e può tramutarsi per alcuni in panico e paralisi completa e si diffonderà di nuovo con la prossima crisi", ribadisce la Primaria. "Se mi consentite una generalizzazione, direi: gli altoatesini hanno una qualità ammirevole, sono persone che agiscono. Il Coronavirus potrebbe però aiutarci a lavorare su un altro aspetto: l'elaborazione emotivo-psichica attraverso la consapevolezza. Avvicinarsi apertamente e insieme a questo tema permetterebbe alla società di maturare".
Ora è il momento di prendersi del tempo e dialogare, sostiene Sonia Prader. Tempo per ritornare alla calma esteriore e interiore, tempo per rielaborare il vissuto, tempo per fare chiarezza e capire cosa significhi questa esperienza in chiave futura, per il singolo e per la società, tempo per lavorare su ciò che ci è sfuggito e per lavorare su ciò che abbiamo fatto. “Il mio appello è: parliamone. Questo ci aiuta tutti e ci rende più forti come comunità.“