Buon natale
Ci vorrebbe un miracolo
Due riflessioni sul Natale da parte di Don Mario Gretter
Ci vorrebbe un miracolo, qualcosa di straordinario, qualcosa che, come dice la parola “miracolo”, si possa vedere/ammirare, sia evidente e risolutiva! Qualcosa che ci stupisca, per seguire sempre l'etimologia della parola stessa. Vorrei vedere e toccare con mano un cambiamento nella mia vita, nelle vicende di questo mondo. E alle volte si formula, sulle labbra, nel cuore e/o nella mente una preghiera, una richiesta o un'imprecazione perché qualcosa cambi, si manifesti, si faccia vedere.
In questo tempo di Avvento e Natale sembra che le nostre città facciano a gara a far vedere che c'è qualcosa di speciale in arrivo attraverso grandi luminarie, decorazioni vistose, mercatini sempre più rumorosi e pieni di ogni bendidio. Un “bendidio” che però sembra aver perso la forza di stupire, di creare miracolo, di soddisfare. Una luce che, al di là del fascino superficiale, non riesce a mettere in luce quanto nel nostro cuore sentiamo di aver bisogno. Una luce che sembra quasi voler esagerare, come fosse un riflettore puntato, per illuminare e propinare qualcosa che in realtà non è la meta della nostra ricerca. Il “miracolo” non c'è sotto il riflettore, sotto la luce forte. Duemila anni fa questo riflettore era puntato sul censimento di tutta la popolazione “appartenente” all'impero più potente, quello romano. Tutti sono da contare, come un possesso. Ma non si può possedere tutto, c’è qualcosa che non si può contare, che, nonostante una stella che indica il cammino, non ha bisogno di riflettori, non li cerca.
Una coppia un po’ fuori dagli schemi, ma neanche tanto, allora come adesso, rimane fuori dalla città e in modo anonimo e quasi banale dà alla luce un figlio. Niente di strano, nulla di miracoloso, o forse sì. È una famiglia che si trova al margine, lontana da casa, precaria e non accolta. È una famiglia che viene visitata da chi è al margine come loro, da chi vive lontano dai riflettori ed è considerata impura per gli uomini e anche per Dio, ma viene anche visitata dai cercatori, da ricchi e sapienti non paghi delle ricchezze di questo mondo. Al centro c’è un bambino, un essere che si rivela come bisognoso di essere accolto. È una sfida vivente, è una scommessa sul futuro, è l’annuncio che, nonostante tutte le vie sbagliate, le luminarie inutili e fuorvianti, nonostante gli errori e le fatiche più grandi, nonostante tutto ciò che sembra voler prendere in mano e annientare la vita, c’è Qualcuno che scommette ancora su di noi, sulla nostra vita, sulla capacità di far crescere la vita.
Non ci dona i miracoli che chiediamo, ma si fa miracolo nella nostra quotidianità: non in un luogo distante, altrove, in un’utopia, ma lì dove la nostra vita quotidiana diventa degna di essere vissuta ancora, ancora di più. Ed è un dono per tutti, nessuno escluso. «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». (Luca 2,10-12)
In questo tempo di Avvento e Natale sembra che le nostre città facciano a gara a far vedere che c'è qualcosa di speciale in arrivo attraverso grandi luminarie, decorazioni vistose, mercatini sempre più rumorosi e pieni di ogni bendidio. Un “bendidio” che però sembra aver perso la forza di stupire, di creare miracolo, di soddisfare. Una luce che, al di là del fascino superficiale, non riesce a mettere in luce quanto nel nostro cuore sentiamo di aver bisogno. Una luce che sembra quasi voler esagerare, come fosse un riflettore puntato, per illuminare e propinare qualcosa che in realtà non è la meta della nostra ricerca. Il “miracolo” non c'è sotto il riflettore, sotto la luce forte. Duemila anni fa questo riflettore era puntato sul censimento di tutta la popolazione “appartenente” all'impero più potente, quello romano. Tutti sono da contare, come un possesso. Ma non si può possedere tutto, c’è qualcosa che non si può contare, che, nonostante una stella che indica il cammino, non ha bisogno di riflettori, non li cerca.
Una coppia un po’ fuori dagli schemi, ma neanche tanto, allora come adesso, rimane fuori dalla città e in modo anonimo e quasi banale dà alla luce un figlio. Niente di strano, nulla di miracoloso, o forse sì. È una famiglia che si trova al margine, lontana da casa, precaria e non accolta. È una famiglia che viene visitata da chi è al margine come loro, da chi vive lontano dai riflettori ed è considerata impura per gli uomini e anche per Dio, ma viene anche visitata dai cercatori, da ricchi e sapienti non paghi delle ricchezze di questo mondo. Al centro c’è un bambino, un essere che si rivela come bisognoso di essere accolto. È una sfida vivente, è una scommessa sul futuro, è l’annuncio che, nonostante tutte le vie sbagliate, le luminarie inutili e fuorvianti, nonostante gli errori e le fatiche più grandi, nonostante tutto ciò che sembra voler prendere in mano e annientare la vita, c’è Qualcuno che scommette ancora su di noi, sulla nostra vita, sulla capacità di far crescere la vita.
Non ci dona i miracoli che chiediamo, ma si fa miracolo nella nostra quotidianità: non in un luogo distante, altrove, in un’utopia, ma lì dove la nostra vita quotidiana diventa degna di essere vissuta ancora, ancora di più. Ed è un dono per tutti, nessuno escluso. «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». (Luca 2,10-12)