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Andrà tutto bene

Erna Holzer ha preso il Covid mentre era in ospedale per la terapia tumorale
Le persone con più di 80 anni e quelle con una o più comorbilità, come il cancro, il diabete, le malattie cardiovascolari o con fattori di rischio come il sovrappeso, il fumo e l'ipertensione, non sono solo più suscettibili di infezione da Covid-19, ma rischiano anche un percorso grave della malattia.Verena Duregger, co-organizzatrice dei Colloqui sul Cancro di Brunico ha raccontato la storia di Erna Holzer nel settimanale “ff” nel mese di gennaio.
Erna Holzer ha il cancro. Nel bel mezzo del trattamento del tumore ha contratto il Coronavirus. Una storia che mostra come spesso si può essere forti nella vita.
Erna Holzer giace nel suo letto d'ospedale sotto un casco d'ossigeno, i volti delle persone attorno a lei sono irriconoscibili, nascosti dietro mascherina e schermo. Un’anestesista le comunica che sarà trasferita nel reparto di terapia intensiva. È il 27 ottobre 2020 ed è il momento di salutarsi, forse di dirsi addio. Erna Holzer chiama sua figlia. Le dice che non vede l’ora di poter rivedere la sua nipotina, e le promette che combatterà. Anche se si sente addosso una stanchezza terribile.
Quante volte sarebbe più facile arrendersi?
Cadono i primi fiocchi di neve della stagione invernale. Nella stufa sta scoppiettando il fuoco. Erna Holzer è seduta al tavolo nella sua stube a Falzes. Vive da sola, suo marito è morto 15 anni fa dopo essere caduto dalle scale. I suoi figli vanno spesso a trovarla. A marzo nascerà il suo terzo nipote (l'articolo è uscito su ff a gennaio, n. d. r.). "Ho sempre creduto che sarei sopravvissuta per poterlo vedere", dice. La sua voce si incrina per un attimo. Poi comincia a raccontare la sua storia. Come sette anni fa si è trovata seduta davanti al suo medico di famiglia e ha sentito quattro parole che avevano un sentore di definitivo. "Lei ha un cancro". Un mieloma multiplo, ecco il termine tecnico. Un cancro che inizia nelle plasmacellule del midollo osseo, che parte dal sistema vascolare. "Un malattia che non è curabile", dice l'ematologo dopo la visita a Bolzano, pochi giorni dopo. "Ma si può imparare a conviverci bene". Che tipo di vita sarebbe stata? le veniva da chiedere "In quel momento però non sono stata capace di capire cosa intendesse. Oggi invece so cosa voleva dire".
L'allora 60enne ha tollerato bene la chemioterapia iniziale. Il seguente trapianto autologo, ovvero con le sue stesse cellule staminali del sangue estratte dal suo midollo osseo e ripulite dalle cellule tumorali, riesce bene. Dopo l'operazione rimane nel reparto di ematologia per tre settimane, fino a quando tutti gli effetti collaterali e i sintomi sono sotto controllo. Qualche mese dopo i medici ripetono la procedura.
Per sei anni vive una buona vita, come dirà più tardi al suo medico, riuscendo a dimenticarsi a volte persino della spada di Damocle che incombe sulla sua testa. Poi, un anno fa in agosto, il ritorno di quella sensazione che ormai riconosce. "Oops, sta per ricominciare", si dice, e lo racconta come se parlasse di un oggetto smarrito per un momento e poi ritrovato.
A partire del 26 maggio scorso, la pusterese, ora 67enne, ricomincia con la chemioterapia all’ospedale di Brunico e con la radioterapia a Bolzano. E si prepara ad un nuovo trapianto di cellule staminali. Ma a causa della pandemia da Covid-19 non c'è subito posto nel reparto di Ematologia. È già fine agosto quando viene finalmente chiamata. Lei sa già per esperienza che i primi giorni sono brutti. Ma passati quelli, non migliora. La causa è un’infezione presa in ospedale. Il 22 settembre, un mese dopo, viene dimessa. "Non è che stessi proprio bene", ricorda, "ma nel reparto mancavano i posti letto" All'inizio di ottobre sale la sua temperatura e il controllo evidenzia un livello molto alto dei parametri da infiammazione. Una sepsis e altri dieci giorni di ricovero in ospedale. Appena ritornata nella sua bella casa, il termometro ricomincia a salire. Erna Holzer viene ricoverata in ospedale. La diagnosi: infezione da Coronavirus.
Una scena alla quale si assiste quasi tutti i giorni accendendo il televisore
Quanti colpi del destino può sopportare una persona?
"Per una paziente appena uscita dalla maratona dei trattamenti anti mieloma, con un sistema immunitario praticamente azzerato, un'infezione con il Covid-19 è un ulteriore stress enorme per il fisico", dice l'internista che si occupa del suo caso. Le conseguenze infatti sono gravi. Erna Holzer riesce a malapena a respirare, viene messa sotto la maschera d’ossigeno. Ma la sua condizione peggiora di giorno in giorno. L’ultimo ricordo prima che si sfuochi tutto, è la frase dell’anestesista, come se l'avesse appena sentita: "Dobbiamo trasferirla nel reparto di terapia intensiva di Bolzano".
Intubare una paziente così debilitata e con questa pesante comorbilità non è una decisione facile per i medici. Ma Erna Holzer ha dimostrato di essere sopravvissuta a cose ben peggiori. "È fortunata, il nostro reparto di cure intensivo è di alto livello", le spiega l'internista. E in quel momento non è neppure particolarmente sotto pressione. La dottoressa non ha le lacrime facili, ma quando assiste all’ultima chiamata della paziente con sua figlia, prima di essere trasferita in intensiva, quando sente come la paziente si congeda da sua figlia in caso non facesse più ritorno, non ce la fa più a trattenerle, le lacrime. "Non ci si dimentica di una cosa del genere".
Il luogo dove Erna Holzer passerà i prossimi nove giorni, lo conosce solo dalle foto sul giornale. I medici e le infermiere che l’hanno in cura la incoraggiano e le mandano spesso i saluti della famiglia, così le viene raccontato dopo. Fa fatica a capire cosa sia realtà e cosa no. Sogna che riuscirà a sopravvivere. E poi sogna ancora di fare delle palline con la carta dei cioccolatini e di scagliarle contro il muro. Per questo motivo, nel sogno, la minacciano di staccarla dalle macchine che la tengono in vita. Passa due giorni particolarmente critici: 48 ore sospesa tra la vita e la morte. I medici fanno tutto il possibile, girano Erna Holzer a pancia in giù, per poi rimetterla sulla schiena.
Poi succede quello che rende il Covid-19 così inafferrabile. Con la stessa rapidità con cui la malattia ha invaso il suo fisico, all’improvviso si placa. La paziente è fuori pericolo. Rimane a Bolzano per altri due giorni e poi ritorna a Brunico nel reparto di riabilitazione. I primi giorni dipende in tutto e per tutto dal personale infermieristico. Anche un cucchiaio sembra pesare come il piombo. Ogni gesto richiede uno sforzo immane. Esitante, Erna Holzer osa fare piccoli passi. Rimanere per un attimo seduta nel letto. Chiede un bicchiere d'acqua. Stringe i pugni. Il 20 novembre risulta per la prima volta negativa al test per il Coronavirus. Erna Holzer viene informata che ha infettato sua figlia incinta. Fortunatamente tutto è andato bene.
Per sette anni il cancro è stato un compagno più o meno visibile nella sua vita. Poi è arrivato il Coronavirus ed è stato come dover rivivere tutto da capo, ma in solo sette settimane. Davanti a sé, sul tavolo, Erna Holzer stende i referti medici. Non riesce a capire tutto quello che dicono. Ma per lei è un modo di venirne a capo, di poter fissare un frangente di vita vissuto come nella nebbia. Sulla panca c'è una scatola da scarpe piena di medicine. Il trattamento del tumore per il momento è concluso. Come tracce visibili del Covid le sono rimasti la sottile cannula di ossigeno attorno al collo e il continuo rumore della pompa della bombola d’ossigeno. "Presto", ne è sicura Erna, "non avrò più bisogno neppure di questo".
Si ricorda l’ultimo pensiero prima che l'anestetico facesse effetto?
Erna Holzer sorride. Certo dice, “Ho ancora un sacco di cose da fare", e riprende il lavoro a maglia. Il nipotino in arrivo avrà bisogno di calzetti.
Quanto spesso si può essere forti nella vita?
Molto spesso, dice Erna Holzer.

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La scrittura ha smosso qualcosa

Elena Breda ha scritto un testo per il progetto "MutterNacht 2021" sul tema maternità e malattia
L’8 maggio, la MutterNacht - mutternacht@hdf.it - invita per la settima volta a confrontarsi nel giorno antecedente la Festa della Mamma con un tema speciale inerente il tema della maternità. L’attenzione è rivolta quest’anno all’aspetto maternità e malattia. Gli organizzatori stanno raccogliendo già da febbraio testi su questo tema, che verranno poi pubblicati in un libro. Elena Breda di Bolzano vi ha partecipato. Ne pubblichiamo alcuni stralci e abbiamo parlato con lei.
Cosa l’ha portata a decidere di partecipare con un testo?
Elena Breda: A dire il vero è stata una decisione spontanea, me l’ha proposto la presidente del circondario di Bolzano, Claudia Bertagnolli, una mia ex collega. Sono una persona molto aperta e non ho mai avuto problemi a condividere le mie esperienze con gli altri, e così ho pensato, perché no?
Scrivere significa confrontarsi ancora una volta intensamente con un periodo vissuto e riviverlo nuovamente. Fissare parole nero su bianco e leggere i propri testi, mette in moto qualcosa dentro di noi. Scrivere per la Notte della Mamma ha fatto qualcosa con lei?
Elena Breda: Ho notato innanzitutto una cosa. La mia esperienza è ancora molto fresca e in un certo senso ne sono ancora troppo coinvolta per poter scrivere di certe cose. Non ho ancora potuto rielaborare tutto. Ci vorrà ancora molto tempo prima che questo processo possa concludersi. Saranno due anni il 21 maggio. Quello che ho notato scrivendo è che ci sono molti aspetti positivi nella situazione che ho vissuto. Ad esempio il sostegno ricevuto da mia mamma, mio marito e mia figlia, che ora ha 11 anni. A volte mi sentivo, per così dire, colpevole perché a me le cose sono andate bene. Una cosa di cui sono diventata veramente consapevole mentre scrivevo, è che esiste un prima e un dopo. Questo vale per tutti gli ambiti della mia vita e così sarà per sempre. E un’altra cosa è emersa scrivendo: una profonda gratitudine. Scrivere ha sicuramente smosso qualcosa!
Ha scritto il testo tutto d’un fiato o in varie fasi?
Elena Breda: Ci ho messo un po’ per cominciare, ho continuato a rimandare. Poi, un giorno, facendo sci di fondo, di colpo ha fatto click. Tornata a casa, mi sono seduta al tavolo e in quel fine settimana ho scritto il 90% del testo. Poi l’ho solamente affinato.