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“Noi abbiamo lo sguardo clinico”

L’ex-primaria Gertraud Gisser racconta il lavoro del servizio riabilitativo

Ritrovare fiducia in se stesso e nelle proprie capacitàRitrovare fiducia in se stesso e nelle proprie capacità

Quello della riabilitazione è un concetto molto ampio. Per Gertraud Gisser, 16 anni a capo del reparto, è l’ambito par excellence della medicina, perché parte da un’immagine unitaria del paziente, ponendosi il compito di aiutare la persona a riacquistare le funzioni perdute, per poter nuovamente inserirsi nel suo ambiente sociale.
“Sono una mosca bianca“, dice con il suo sorriso da ragazzina. Gertraud Gisser. Per sedici anni era primaria del reparto di riabilitazione dell’ospedale di Bressanone, negli ultimi anni anche vice-responsabile del Centro di neuro-riabilitazione di Vipiteno. Anche da primaria è sempre stata coinvolta attivamente con i pazienti. Poi un giorno ha deciso, adesso basta, bisogna fare posto ai giovani. Si è dimessa da primaria e ha continuato a lavorare come aiuto nel suo reparto. E ne è felice.

Pazienti di tutti i tipi allora. Dopo un ictus, casi ortopedici, pazienti con malattie organiche, pazienti che devono riapprendere a camminare o a parlare, malati di tumore, ciechi e sordi, pazienti usciti dalle cure intensive, pazienti in terapia del dolore, pazienti con edema linfatico e dementi, bambini. Il lavoro riabilitativo unisce approcci di medicina tradizionale con la medicina complementare. La logopedia, l’ergoterapia e la fisioterapia sono parte della medicina riabilitativa. “Nel nostro lavoro abbiamo il quadro completo e dobbiamo saperci muovere in ogni ambito, come nel passato quando il medico faceva la sua diagnosi solo dopo aver sentito, ascoltato, guardato e toccato. Noi abbiamo lo sguardo clinico!”

La collaborazione è indispensabile perché funzioni una terapia riabilitativa. “Bisogna saper cogliere in modo sensibile le esigenze dei pazienti, elaborare un programma individuale e capire quali ostacoli e barriere devono essere superati. Ostacoli interni ed esterni, in tutti i sensi, il che vuol dire anche ostacoli di natura psicologica. Per riabilitare delle funzioni bisogna saper superare le paure di cui il paziente è portatore: paura di non riuscire, paura di farsi del male. “Deve ritrovare fiducia in se stesso e nelle proprie capacità. È compito del team, perché un lavoro riabilitativo è sempre un lavoro di gruppo, accompagnarlo in questo percorso. Con l’autonomia il paziente riacquista anche la sua dignità personale.“

Nel caso in cui la perdita di autonomia sia tale che il paziente necessita di assistenza domiciliare, gli ergoterapeuti fanno un sopralluogo incontrandosi con i collaboratori del distretto sanitario per concordare al meglio la fase postricovero.

In cosa consista l’autonomia cambia poi da caso a caso. Può essere il recupero totale di tutte le capacità motorie, può essere il saper camminare con l’aiuto di una protesi o di un deambulatore rollator o anche il muoversi autonomamente con una sedia a rotelle all’interno della propria abitazione.

Nel caso ideale una terapia reha deve iniziare già prima di un intervento, o al massimo subito dopo. La terapia viene decisa assieme a tutti i reparti coinvolti quando il paziente è ancora ricoverato. Decisa la terapia, il paziente viene assegnato ad un terapeuta per garantire la continuità delle cure. Nell’ospedale aziendale di Bressanone vige il concetto dell’adeguatezza. I casi acuti e postacuti hanno priorità su disfunzioni semplici.

“Una terapia reha seria non consiste in un massaggino e una terapia del calore. Per questo tipo di cose ci sono strutture private alle quali possiamo indirizzare i pazienti.”

I terapeuti del reparto reha lavorano in modo del tutto autonomo, viene chiesto a loro di porsi in modo critico e responsabile dinanzi ad ogni caso, giudicando su come impostare il percorso terapico e utilizzando le loro competenze ed esperienze.

Una terapia complessa di riabilitazione, spiega Gertraud Gisser, va sempre di pari passo con una profonda crisi esistenziale del paziente. “Bisogna imparare a farsi carico nel gruppo di queste crisi esistenziali, elaborarle nel team e capire ognuno per sé, come fare per tutelarsi da un eccessivo coinvolgimento”. Naturalmente fanno parte del lavoro quotidiano anche i momenti di gioia per i risultati. “Non c’è niente di più bello che poter inviare un paziente sulle proprie gambe nel reparto di terapia intensiva per ringraziare di persona chi gli ha salvato la vita.”

"La riabilitazione è l’ambito par excellence della medicina!!"La riabilitazione è l’ambito par excellence della medicina!!

Nei pazienti tumorali la terapia reha è spesso molto complessa. I terapeuti lavorano in stretto contatto con il team che ha in cura il paziente. Da un lato si tratta di riattivare delle funzioni andate perdute, di accompagnare la fase postoperatoria, ma a seconda dei casi anche di riattivare le capacità cognitive o di rafforzare la memoria breve. Di solito questi pazienti necessitano sempre di una terapia del movimento (il movimento è in ogni caso importantissimo nella terapia tumorale, sostiene la dott.ssa Gisser). Non pochi pazienti tumorali sono anche affetti da edema linfatico. “Questo edema sorge in circa 16 % dei casi e non sono solo pazienti con tumore al seno. Un linfedema può sorgere anche dopo un intervento alla prostata o in caso di tumori in campo ginecologico e urinario o magari dopo la radioterapia.

Ci sono da distinguere due fasi nella cura dell’edema. Il trattamento non chirurgico prevede linfodrenaggio manuale, bendaggio elastocompressivo e l'utilizzo di tutori elastici definitivi, da portare per tutta la vita, 24 ore su 24. Possono essere calze, guanti, collant o anche bendaggi per tutto il corpo, tutti fatti su misura. I pazienti soggetti all’asportazione dei linfonodi passano di default al reparto riabilitativo. Grazie al miglioramento delle tecniche chirurgiche, sempre meno invasive, l’incidenza del linfedema è in leggero calo, sottolinea Gertraud Gisser.

Pazienti tumorali iscritti all’Assistenza Tumori Alto Adige possono scegliere di continuare il linfodrenaggio manuale gratuitamente presso gli ambulatori dell’associazione, i cui terapeuti lavorano in stretto contatto con gli ospedali.

Non sempre viene compresa la gravità di questo disturbo specie dai familiari. Gertraud Gisser è pronta anche a metodi non proprio ortodossi per proteggere le sue pazienti. „Una volta“, ricorda, „ho convocato qui in reparto il marito contadino di una mia paziente perché non voleva accettare che lei non fosse più in grado di eseguire lavori pesanti al maso. L’ho fatto camminare per mezz’ora avanti e indietro con attaccato al braccio un peso di sei chili. Dopo ha capito!“

Un linfedema è una malattia seria che può avere gravi conseguenze se non viene curata in modo adeguato. I pazienti con un linfedema devono muoversi, possono esercitare anche degli sport, ma non devono assolutamente fare lavori pesanti. Devono stare molto attenti a ferite, anche piccole come punture d’insetto, non devono stare al sole e devono spesso riposare per evitare blocchi linfatici. “Se non si cura in modo adeguato sottovalutando gli effetti della malattia, si rischia un’infezione grave che può portare anche ad una setticemia con esito mortale.”

La riabilitazione. Un campo molto vasto e interessante nell’ambito della medicina, che presuppone delle conoscenze approfondite in tutti gli ambiti nonché una grande sensibilità per le esigenze e la particolare situazione psicologica dei pazienti.

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Le vostre lettere

Care lettrici, cari lettori…
Che bello, dopo molto tempo è arrivata una lettera da voi lettori. Hansjörg Elsler di Merano vuole condividere con noi le sue esperienze in ferie e soprattutto esortarvi a partecipare.

Ogni anno l' Assistenza Tumori offre infatti soggiorni sull’Adriatico, al Garda e in val Casies. Le iscrizioni partono dalla primavera. Cosa state aspettando?
Nicole Dominique Steiner
Assolutamente da consigliare Ferie a S. Martino in val Casies
Nel dicembre 2014, leggendo la rivista “Chance” e guardando le diverse offerte di vacanza dell’Assistenza Tumori, pian piano aveva cominciato ad accarezzarmi l’idea di iscrivermi al soggiorno in montagna. Mi ero annotato il termine ultimo per l’iscrizione nel mio calendario outlook e poi non ci avevo più pensato.
All’inizio di marzo mi sono dunque iscritto a questo soggiorno in montagna, ma ero convinto che le richieste sarebbero state talmente tante che la mia sarebbe stata subito scartata. Dopo mesi in cui ho continuato a lavorare al mio solito “ritmo”, mi sono ritrovato che mancavano ormai solo 14 giorni all’inizio del periodo fissato per le ferie in montagna. Non avevo avuto più notizie dalla Krebshilfe e quando ho telefonato a Merano per sapere se la mia iscrizione era stata accettata, dentro di me speravo che la cosa non fosse andata a buon fine. La risposta invece è stata: “Ma certo che è stata accettata!” Dovevo solo versare l’importo richiesto e consegnare l’autocertificazione richiesta.

Ero pieno di dubbi: devo veramente partire in ferie in montagna con la Krebshilfe? Che cosa mi aspetta? Con chi trascorrerò questi 10 giorni di vacanza? Come saranno gli altri partecipanti? Saranno giovani o anziani, attivi o no, con chi dovrò condividere la stanza? Erano molte le domande che mi assillavano la mente. Non ero mai stato in vacanza da solo senza famiglia!

Pagai l’importo e spedii l’autocertificazione e ben presto arrivò il fatidico giorno. Partii da solo con la mia auto per la val Casies; una volta arrivato rimasi estasiato dalla bellezza e ampiezza della valle. Intanto iniziarono ad arrivare alla spicciolata anche gli altri partecipanti, ci salutammo e ci recammo nelle rispettive camere. Il gruppo era sorprendentemente piccolo, quattro donne e tre uomini! Durante un primo giro a piedi e durante il pranzo abbiamo programmato le prime escursioni. In modo facile e democratico abbiamo scelto le mete e il giorno dopo ci siamo messi in marcia. La prima uscita è stata piuttosto faticosa per me e alla sera sono tornato stanco ma soddisfatto in hotel, pronto a gustarmi l’area wellness. Durante la cena abbiamo pianificato già un’altra meta, il prossimo obiettivo. Ero contento di me stesso per avercela fatta così bene e già aspettavo con gioia il giorno successivo. Il tempo non poteva che essere migliore, caldo, il cielo privo di nuvole e la vista stupenda. Cosa si può desiderare di più!

Così questi dieci giorni sono passati in un lampo. Nel gruppo si era creata una bella armonia, nei limiti del possibile si è cercato di venire incontro alle esigenze di ognuno, e anche se ero di gran lunga il più giovane mi sono sentito sempre a mio agio. Verso la fine del soggiorno abbiamo anche passato del tempo a raccogliere mirtilli e cercare funghi, così ognuno di noi ha potuto portare a casa qualcosa.

Sono stato sorpreso da quanto velocemente e facilmente il gruppo si sia amalgamato e mi sono ritrovato a pensare quanto tempo era che non mi prendevo il tempo per camminare così tanti giorni in montagna. Senza dire che saranno stati 40 anni che non raccoglievo più mirtilli nel bosco, che non andavo a cercare funghi, che non mi concedevo il tempo per percepire e assaporare la bellezza e la tranquillità delle nostre montagne.

Queste ferie organizzate dalla Krebshilfe in val Casies sono servite a farmi “frenare” un po’ i ritmi della mia vita quotidiana, a ricordarmi di valori e gioie di cui per molti anni avevo perso ogni consapevolezza.

Ringrazio il gruppo per l’accoglienza, ringrazio tutto il team dell’hotel Waldruhe per il servizio eccellente e cordiale, e ringrazio la Krebshilfe altoatesina che mi ha permesso di trascorrere questa vacanza portando un po’ di tranquillità nello stress del mio quotidiano. Auguro a molti più soci di avere il coraggio di intraprendere questa avventura, ne vale sicuramente la pena!!

Hansjörg Elsler, Merano