Attuale

24 ore su 24!

Studio su come incrementare la qualità di vita dei pazienti palliativi

Le cure palliative, ovvero l’accompagnamento di una persona ad una morte dignitosa possibilmente nel suo ambiente abituale, è una delle sfide più grandi non solo per i parenti ma anche per tutte le professionalità coinvolte in questo percorso senza ritorno. Le premesse perché funzioni sono due: una rete strettamente interconnessa e la possibilità di garantire le cure 24 ore su 24.
L'Assistenza Tumori Alto Adige ha finanziato lo studio “Pazienti palliativi in Alto Adige – Indagine e promozione della qualità di vita“ svolto dall’Accademia Altoatesina di Medicina Generale, AcAMG, realizzato in collaborazione con le Università di Innsbruck e Sigmund Freud di Vienna. In occasione della Giornata Mondiale delle Cure Palliative, lo scorso 10 ottobre, lo studio è stato presentato nell’ambito dell’annuale conferenza stampa dell’Assistenza Tumori Alto Adige.

Lo studio ha avuto inizio nell’ottobre 2014 e ha una durata di due anni. È stato presentato dal dott. Adolf Engl, presidente dell’AcAMG, dalla collaboratrice scientifica Anna Gögele e dal dott. Giuliano Piccoliori, direttore dell’AcAMG.

“Tutti dobbiamo morire un giorno“, ha ribadito il dott. Engl nella sua introduzione. “Ma viviamo come se questo non dovesse mai accadere, fino al momento in cui la malattia ci costringe ad un brutto risveglio.” Quando non c’è speranza di guarire, si tratta di garantire al paziente la miglior qualità di vita possibile tramite il controllo dell’insonnia, dei dolori, delle nausee e dello stato psicologico. La radice di “palliative care” è pallium, cioè mantello, coperta. “Si tratta di alleviare il paziente ma non solo, anche i suoi familiari e chi sta loro vicino in questa fase di vita. Per poter garantire questo occorre un‘ottima collaborazione interdisciplinare tra il paziente, i familiari, e tutti gli attori dell’ambito socio-sanitario e psico-spirituale che gravitano attorno ad esso.” Una rete palliativa.

Due terzi degli altoatesini hanno dichiarato che preferirebbero morire a casa. Questo è il risultato di uno studio pilota. Una grande sfida per il sistema sanitario dell’Alto Adige. Lo studio finanziato dall’Assistenza Tumori analizza l’assistenza domiciliare per verificare cosa funziona bene e cosa invece andrebbe migliorato e inoltre per verificare quanto una supervisione specifica possa incidere sulla qualità del servizio prestato dai medici generali e dal personale infermieristico e sociale del distretto sanitario.

La psicologa Anna Gögele ha illustrato la struttura dello studio e i primi risultati. La partecipazione è su base volontaria, con l’esclusione di pazienti dementi. Per poter partecipare, il paziente deve disporre ancora di una relativa qualità di vita e di autonomia, nonché essere pienamente in possesso delle proprie facoltà mentali. Fino a settembre 2015 erano state esaminate 12 reti palliative in tre momenti distinti. Lo stato prima dell’inizio delle cure palliative, l’evoluzione dopo circa un mese e mezzo e dopo tre mesi e mezzi o dopo la morte del paziente.

I dati raccolti finora confermano che tutti i soggetti coinvolti nella rete giudicano la supervisione positivamente e utile ai fini delle cure. È stato riscontrato un aumento della qualità delle cure prestate e di conseguenza anche della qualità di vita del paziente. Tutti i partecipanti hanno confermato che lo stress psicologico dei familiari (senza la supervisione) e la mancanza di comunicazione tra gli attori si ripercuotono in modo negativo sulla qualità di vita del paziente. I pazienti stessi lo segnalavano come elemento problematico con ripercussioni negative sul quadro generale.

Giuliano Piccoliori, direttore dell’AcAMG e socio del gruppo di studio internazionale “Palliativcare“, ha illustrato in breve il quadro normativo delle cure palliative, ovvero la legge 38/2010. Ogni paziente in fase terminale di malattia, dove misure terapeutiche non sono più efficaci, ha il diritto a tutte le terapie adatte ad alleviare i dolori, a tutelare nei limiti del possibile la propria autonomia e ad avere garantita una vita decorosa. Il legislatore s’impegna inoltre a supportare al massimo tutte le persone coinvolte: medici, infermieri e familiari al fine di garantire un sostegno 24 ore su 24, sette giorni su sette. In Alto Adige non è stata ancora pienamente attuata la legislazione statale in materia. La situazione è che, assieme alla Sardegna, l’Alto Adige è il fanalino di coda in Italia anche per quanto riguarda la trasmissione dei dati sui casi palliativi e sulla creazione di reti informatiche che mettano in collegamento ospedali e territorio. Finora in Alto Adige ci sono solo due hospice, uno a Bolzano e uno a Merano, non esistono ancora né una rete palliativa provinciale né un’assistenza medica (a domicilio) che copra 24 ore su 24 su tutto il territorio. In questo momento le cure palliative, soprattutto per quanto riguarda le esigenze durante la notte e il weekend, sono garantite soprattutto in periferia, dove la disponibilità del medico di base in genere è maggiore.

Il dottor Engl ha infatti individuato proprio nella reperibilità costante del medico di base e nell’istituzionalizzazione del colloquio di consegna del paziente tra ospedale, medico di base e personale del distretto sanitario, i punti cardini delle cure palliative.

Già 18 anni fa in uno studio condotto tra i familiari dei pazienti emergeva che la garanzia di una reperibilità continua del medico di base, anche di notte e anche durante il weekend, sarebbe stato uno dei fattori più rassicuranti per chi si prende cura di un malato in fase terminale. Cosa che, soprattutto in ambito urbano, in Alto Adige resta ancora un’utopia.

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Festeggiare la comunità

La gita sociale dell’Assistenza Tumori a Lagundo, lo scorso settembre.

I preparativi sono durati diversi mesi. Quale programma? Quali ricordini? Che menù? Ci sono molte cose a cui pensare quando si devono ospitare 360 persone. Perché tante ne erano venute da tutta la Provincia per passare insieme una giornata indimenticabile: la gita sociale dell’Assistenza Tumori a Lagundo, il 26 settembre scorso, organizzata dal circondario di Merano.
“Una giornata così bella come quella di oggi non dovrebbe finire mai…”. Così dice una canzone tedesca degli anni Sessanta. Chissà se queste parole sono venute in mente anche a uno o all’altro dei partecipanti alla gita di Lagundo dello scorso 26 settembre.

Ed è stato davvero tutto perfetto, iniziando dalla bellissima giornata autunnale di sole e dalla Casa della Cultura di Lagundo, location ideale per un pranzo con i fiocchi preparato sotto la supervisione di Christian Pircher, il più giovane chef stellato dell’Alto Adige del ristorante dell'hotel Kirchsteiger di Foiana. La sera quando l’ultimo pullman è partito, il presidente del circondario Merano Burgraviato, Oskar Asam, la sua vice Roberta Melosi, la segretaria Sigrun Abart, tutti i membri del direttivo Anna Kofler, Annalisa Pircher, Anna Maria Trafoier e Berta Kasseroler e i tanti volontari che hanno contribuito a rendere unica questa giornata, erano stanchi ma felici.

Non programmato è stato invece un concerto improvvisato del nuovo sindaco di Merano, Paul Rösch. In ritardo a causa di un altro impegno, al posto del discorso di saluto si è portato dietro la sua fisarmonica e ha suonato e cantato per i membri dell’Assistenza Tumori. Anche se è arrivato solo alle 12.30, è rimasto fino alle 16.

La musica, comunque, era prevista dal programma e tutti i partecipanti sono rimasti entusiasti dell’esibizione del Coro di Merano „Non nobis dominem“, diretto da Antonio Battistella. Stefano Rubino invece ha mostrato come si possono far suonare anche i bicchieri più o meno pieni d’acqua. Per tutto il pomeriggio hanno suonato inoltre „Die guten Freunde“.

Oltre al parroco della parocchia di Lagundo, Harald Kössler, che ha dato il via alla festa con la messa nella chiesa di San Giuseppe, i membri dell’Assistenza Tumori, sono stati accolti calorosamente anche del sindaco di Lagundo, Ulrich Gamper.


La chiesa parrocchiale di San Giuseppe, ricostruita nel 1970, ha affascinato i presenti con i suoi vasti interni e le grandi finestre con i loro colori simbolici: verde come la speranza la finestra a nord, come segno che la vita ci porta attraverso gioie e dolori a Dio. Quella a est, piena di luce e di colori, dominata dal giallo, che simboleggia la gioia, l’alba e il messaggio pieno di gioia della Pasqua.

I meranesi avevano deliberatamente rinunciato a organizzare un fitto programma di visite nei dintorni. Dice Oskar Asam: “Il nostro programma era semplicemente passare insieme una giornata tranquilla e in armonia e pensavamo che un programma avrebbe interrotto in qualche modo questa sensazione di comunità“. Un’intuizione vincente. Dopo il pranzo si sono formati spontaneamente gruppi di giocatori di carte, mentre altri soci si sono messi a sedere al sole per chiacchierare e godere insieme della bella giornata autunnale. Qualcuno ha intrapreso anche una breve passeggiata.

I soci del circondario di Merano hanno anche preparato una sorpresa per i tutti i loro ospiti: per ognuno di loro c’era un porta candela, realizzato già mesi prima con amore e impegno, durante il corso di ceramica tenuto da Robert Giovanazzi (Vedi articolo seguente pag. 28).

Perchè un portacandelina? “Semplice”, dice Oskar Asam. “Il nostro auspicio è che la luce di questa candelina possa far tornare alla mente tutti i bei momenti di questa bella giornata passata insieme.“

Il prossimo anno, la gita sociale dell’Assistenza Tumori Alto Adige porterà i soci a Brunico.