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Vivere con la vecchia dama nera

Claudia Rizzieri si è ammalata due volte di cancro al seno, a 27 e a 48 anni
Sorridente malgrado tutto. Un'immagine di Claudia scattata da amici durante il ciclo di chemioterapia nell'estate 2016
Aveva 27 anni ed era sposata da due anni. Un mattino una cosa strana al seno sinistro. Un nodulo. Un’ecografia all’ospedale di Merano. Il risultato è negativo. Ma la preoccupazione resta. Una stanchezza insolita. Un mese dopo una mammografia a Bolzano, negativa anche questa, ma l’ecografia desta sospetti. La radiologa decide di effettuare subito una biopsia. Diagnosi: cancro al seno. Era il 1994. A maggio 2015 un altro nodulo. A destra.
È piccola e minuta, con la voce forte di un gigante. Un corpo tonico, un taglio corto e sbarazzino, due luminosi occhi azzurri. Ride spesso e volentieri. Claudia Rizzieri ha dovuto affrontare due volte il cancro nella sua vita. Al momento della prima diagnosi, ricorda, non sapeva nulla di questa malattia. Un problema che colpisce le persone anziane, pensava, me non di certo! E poi lo shock della diagnosi. "Ero come paralizzata,“ ricorda. ”Ma non riuscivo a pensare alla portata di una diagnosi del genere. Non sapevo quanto fosse grave, soprattutto quando si è così giovani.“ Il marito di allora invece lo sapeva. Un tumore di 1 cm, tre linfonodi intaccati nell’ascella... Sapeva cosa poteva significare. Per Claudia la paura arrivò più tardi. Alla seconda volta.

Claudia ha trovato un nome e un’immagine per la paura. La vecchia dama nera. Questo l’aiuta a porsi dei limiti. Dopo una lunga battaglia ha imparato a conviverci.

Claudia, che già ai tempi insegnava tedesco in un liceo di lingua italiana di Bolzano, ha sopportato bene la prima terapia e ha risposto subito in modo positivo. Il suo corpo era giovane e anni di agonismo in atletica leggera lo avevano reso forte. Una prova affrontata con un piglio combattivo, senza smettere di andare a lavorare anche durante la chemioterapia. All’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano fu stilato per lei un nuovo protocollo. ”Una bomba ad alto dosaggio che a Bolzano non si conosceva ancora e che poi è stata adottata dal reparto di Oncologia.“

Uno shock è stata invece l’operazione. Per quanto Umberto Veronesi avesse adottato già negli anni Settanta la quadrantectomia all’Istituto Europeo dei Tumori, questo tipo di intervento – meno invasivo - veniva effettuato in pochissimi ospedali. Il seno sinistro le venne amputato completamente. Invece di effettuare una ricostruzione immediata come si usa fare oggi, le venne applicato un espansore. ”Era terribile, un pallone, molto più grande del mio seno.“ Fu in quel momento che si chiese per la prima volta, ”Perché è successo proprio a me?“

Per la ricostruzione vera e propria in quegli anni le pazienti altoatesine dovevano andare a Verona. Il risultato finale era meglio dell’espansore ma dal punto estetico lasciava molto a desiderare. Il medico di Verona le disse che in quel periodo avevano in trattamento molte giovani donne di Bolzano. Che fosse legato a Cernobyl? Ai tempi le sembrò una spiegazione plausibile ma una volta terminati i cicli di terapie, non si pose più domande sul perché. Oggi invece sa di avere una predisposizione genetica. Allora invece voleva solo dimenticare, o meglio, rimuovere! Onco-psicologia? No, dice Claudia, “ai tempi non faceva per me. Non volevo avere niente a che fare con l’argomento, ho alzato una barriera. Oggi so che è stato un errore non rielaborare il rapporto disturbato con il mio corpo.“

Per non pensare al suo seno, si concentrò sul resto del suo corpo, iniziò a praticare di nuovo lo sport agonistico, mezza maratona e sci di fondo e, dopo alcuni anni, anche lo yoga, per dimostrare a sé stessa di essere sana, che il suo corpo funzionava alla perfezione. Lo sport come antidoto alla paura, dimenticando la femminilità. Questa ricetta ha funzionato per vent’anni. Tutti gli anni regolarmente la mammografia e l’ecografia e poi si passava ad altro. ”Pensavo che non mi sarei ammalata mai più!“

Ma poi nel maggio 2015 tutto riinizia da capo. ”Mi sembrava di vivere un incubo. Conoscevo già la scena: stesso posto, stesso medico, le stesse parole. "Per precauzione dobbiamo farle una biopsia…“ E lo stesso risultato: positivo. Questa volta le fanno anche un test genetico. Positivo anche questo. I medici le consigliano di sottoporsi in via precauzionale anche a una dissezione delle ovaie.

Claudia Rizzieri fa una pausa. ”Magari adesso chi legge prende paura... La seconda volta è stato tutto molto peggio. La chemioterapia, l’intervento. È vero che ho sofferto meno la nausea rispetto alla prima volta, perché oggi esistono dei farmaci efficaci, ma mi sentivo molto più debole. Percepivo il veleno nel mio corpo, in ogni mio muscolo. Anche il mio atteggiamento era differente. Panico totale!“ Il filo conduttore era la paura. La paura l’ha accompagnata per molti mesi. E a differenza della prima questa volta era single al momento della diagnosi. Sola!

Questa volta però ha accettato di farsi aiutare. Ha seguito una terapia psico-oncologica e ha assunto degli antidepressivi contro la paura. ”Mi sentivo così debole, ero completamente a terra, pensavo che non mi sarei più ripresa. Inoltre ero da sola. Pensavo: e chi mi vuole dopo una seconda mastectomia?“

Dopo anni di pratica, dal 2011 è anche insegnante di yoga, Claudia Rizzieri ha sviluppato una sensibilità particolare per il suo corpo. ”In relazione alla malattia non è necessariamente un vantaggio”, dice. Il contrario. “Percepivo cose di cui altre persone magari neanche si accorgono.“

Claudia ride. ”Il mio corpo è l’immagine dei progressi fatti dalla terapia del cancro nel ultimi 21 anni. Nel 1994 non si badava ancora all’estetica o non si pensava a preservare il decolté.“ Via tutto, nessuno si chiedeva come una donna possa supportare psicologicamente una tale menomazione. In occasione del secondo intervento, nonostante le piccole dimensioni del tumore, vista la predisposizione genetica, venne sottoposta ad un’altra mastectomia e in concomitanza all’asportazione delle ghiandole mammarie venne effettuata subito la ricostruzione plastica.

Da quel giorno è passato un anno e mezzo. Nel frattempo Claudia ha terminato le terapie. Ha riacquistato le forze, la fiducia nel suo corpo sta a poco a poco tornando. Ha ricominciato a fare sport e a fare delle camminate. Ma questa volta senza stress. Il suo corpo non deve più fungere da surrogato per un rapporto disturbato con sé stessa e con la propria femminilità. Claudia oggi riesce ad ascoltare il suo corpo senza pretendere più di quello che può dare. E si sente bene così. Ha imparato ad aprirsi. Ha imparato anche a parlare delle sue paure. E delle sue speranze. È fiduciosa. È felice. Ha di nuovo un partner al suo fianco. “Un uomo intelligente e sensibile, che ama me e non il mio seno, un uomo che mi dice che non mi devo nascondere, che non devo avere paura del contatto fisico e che mi trova bella così come sono.“

Claudia mi guarda negli occhi. ”Ho avuto sfortuna, il cancro mi ha segnata, ma forse in questo modo sono diventata una persona più sensibile ed empatica.“ Oggi affronta la vita in modo consapevole. Al momento la vecchia dama nera è ancora là, al suo fianco. “Ma sempre un po’ meno e ho imparato ad apprezzare la sua presenza. Mi spaventa ancora, ma mi fa anche capire che la vita è bella e che devo vivere senza sprecarla. E la mattina la guardo negli occhi e le dico “buon giorno“.



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Una per tutte, tutte per una

Le “Scapigliate”: dalla sala d’aspetto di Oncologia ad amiche per la pelle
La mini pink parade a Bolzano è stata organizzata da Roberta, figlia della scapigliata Helga. Un'iniziativa che l'aveva colpita durante un viaggio a New York.
Si scrivono giornalmente su whatsapp. Per mettersi d’accordo su un appuntamento, ci mettono quasi un mese. Sono infatti molto occupate, giovani e meno giovani, anarchiche, intraprendenti o riservate. Ridono, piangono e scherzano assieme. Una per tutte e tutte per una, questo è il loro motto e, nonostante tutte le differenze, hanno una cosa in comune: l’esperienza del cancro.
Si sono conosciute nella sala d’aspetto di Oncologia a Bolzano. Aspettando la chemioterapia. Ci si vede, ci si vede di nuovo, si inizia a salutarsi e a chiacchierare in modo da far passare più in fretta la lunga attesa. E a fare gruppo. Non potrebbero essere più diverse. Un’insegnante di danza, una casalinga, una dietologa, due impiegate di banca, un’insegnante, un’avvocatessa.... Marica, Antonella, Helga, Ivana, Ida, Silvia, Francesca, Lorena, Aurelia, Mariella, Laura, Anna e Loredana. E si sono date anche un nome, “Le scapigliate“. Un modo scherzoso per affrontare la perdita dei capelli durante la chemioterapia. Ma non solo. Una testa scapigliata ha caratterizzato da sempre le donne che escono dagli schemi. Il greco Eucleido ha creato intorno al 400 una moneta con la testa della dea siracusana Arethusa, detta anch’essa “scapigliata“, come pure il ritratto incompiuto di una bella sconosciuta fatto da Leonardo da Vinci nel 1508.

Acquisiscono forza dalla solidarietà e dalla consapevolezza di non essere sole. Fanno parte di un gruppo, ma al tempo stesso sono completamente libere. Ognuna può andare e venire come vuole, partecipare attivamente a whatsapp o partecipare solamente in modo passivo. Alcune si ritirano per un certo tempo per poi ricomparire, altre se ne sono andate del tutto. Alcune non ci sono più. Purtroppo anche questo.

Tutto iniziò nel 2014, l’anno in cui tutte hanno dovuto affrontare una chemioterapia. Dalla propria esperienza del cancro e delle terapie, dal convivere con le diverse esperienze delle altre, le “scapigliate“ hanno ricevuto soprattutto una cosa: la grinta. Considerano il cancro come un problema che va superato. Una malattia che è forse più tosta di altre, ma nulla di più. Non permettono alla malattia di dominare la loro vita, di prendere il controllo del proprio destino.

Marica Carriere, la più anziana e, anche se non nominata ufficialmente, ma senza dubbio la portavoce del gruppo, afferma che “il cancro bisogna superarlo e col nostro esempio vogliamo fare coraggio alle altre. Per tutte noi il cancro non ha rappresentato una fine ma, al contrario, l’inizio di qualcosa!“ E proprio per questo “Le scapigliate“ sono uscite allo scoperto.

Hanno presentato già due volte le proprie storie a un vasto pubblico, senza dimenticare di sottolineare l’importanza della prevenzione. La prima volta al Circolo Cittadino di Bolzano, di cui Marica Carriere è presidente, e la seconda volta a Salorno, accompagnate dal coro di Pochi di Salorno, di cui fa parte una di loro. Il 2 ottobre dell’anno scorso le “scapigliate“ hanno partecipato alla mini-pink-parade a Bolzano, organizzata dalla figlia di una di loro in collaborazione con la Fondazione Veronesi e a data ancora da destinare sono invitate a un congresso oncologico per raccontare le loro esperienze a un pubblico di medici.

Ma quello che conta di più è che sono presenti l’una per l’altra. Lo stesso se si tratti di un consiglio per risolvere piccoli o grandi problemi, o farsi coraggio nei momenti difficili, condividere con qualcuno i problemi di lavoro o in famiglia o semplicemente per augurarsi buon giorno o organizzare una passeggiata assieme. “Nessuno meglio di noi sa comprendere perchè improvvisamente ci venga da piangere o quando abbiamo bisogno di una parola incoraggiante o invece di una tirata d’orecchi.“ Anche questa, infatti, è una tacita regola del gruppo: non ci sono tabù. Sono “Le scapigliate“ e sono Marica, Antonella, Helga, Ivana, Ida, Silvia, Francesca, Lorena, Aurelia, Mariella, Laura, Anna e Loredana. Ognuna è speciale a modo suo. Ormai non condividono più solamente l’esperienza del cancro, ma bensì la vita. Amiche per sempre!