Attuale

Otto incontri di supervisione all’anno

L’ATAA si prende cura dei suoi terapisti – Importante sostegno psicologico.
È mezzogiorno. Tanja, Elisabeth, Edith, Agatha, Renate e Irene sembrano rilassate, chiacchierano tra loro. Irene ripone delle cartelle nella sua borsa. Loro sono le fisioterapiste dei circondari di Bressanone e della Val Pusteria. Sono rimaste sedute dalle nove attorno al tavolo di una saletta, accanto all’ambulatorio di Bressanone, per la loro consueta supervisione.
Non sempre, o meglio solo raramente, in queste sedute vengono affrontate situazioni delicate o difficili. Si tratta per lo più di gestire il quotidiano, oppure di mettere a fuoco quello che urge in quel particolare momento. Spesso sono temi che nascono lì per lì, in modo spontaneo, dallo scambio di informazioni con le colleghe. Nessuna di loro viene alla revisione con un catalogo di domande già precompilate.
Il lavoro che svolgono le fisioterapiste dell’associazione e l’unico loro collega maschio, Lorenzo Maito, è sempre lo stesso: il linfodrenaggio per pazienti tumorali. In fondo sono sempre le stesse mosse delle mani, ma va comunque oltre il massaggio terapico. E' un momento di grande intimità, ci si avvicina molto al paziente, soprattutto avendoli in cura per lunghi periodi. I pazienti raccontano tanto e bisogna saper elaborare queste cose. L’ATAA è molto attenta a dare un supporto in questo ai suoi terapisti e per questo motivo offre loro degli incontri ravvicinati di supervisione.
Irene Terzer ha molta esperienza in supervisione. Predilige lavorare in modo creativo e intuitivo, reagendo in modo spontaneo e flessibile ai temi che scottano in quel particolare momento e utilizzando volentieri giochi di ruolo, la pittura o altri metodi di interazione.
“Un supervisore non deve mai presentare soluzioni“, ribadisce, ”deve indurre i supervisionati a trovare loro stessi le risposte mettendo loro a disposizione le tecniche adatte a cui poter ricorrere anche nel lavoro quotidiano.” Bisogna saper cogliere al volo i temi e trovare subito il modo giusto di affrontarli.
Il supervisore, spiega Irene Terzer, deve sempre tener a mente tre cose fondamentali: con chi ha a che fare, come sono le relazioni tra i supervisionati e per che tipo di organizzazione stanno lavorando.
Apriamo una parentesi. In Italia e in Austria la figura del supervisore non è riconosciuta come professione. La formazione (in Germania) dura tre anni. Per accedere bisogna avere 29 anni, maturità o diploma universitario e un minimo di cinque anni di esperienza lavorativa (in qualsiasi campo).
Le colleghe della Val Pusteria devono scappare subito dopo la supervisione perché hanno appuntamenti con i pazienti. Tanja e Elisabeth, le due terapiste del circondario Bressanone Val Isarco, si prendono del tempo per raccontare la loro esperienza. “Per noi sono davvero molto importanti questi incontri”, racconta Tanja. “I nostri pazienti condividono tante cose con noi, cose che magari a casa non possono raccontare.” Parlano di paure, di disperazione, dei problemi ad accettare il loro fisico trasformato dalla malattia. Cose che pesano insomma. La supervisione è un’occasione di confronto, la possibilità di imparare strategie nuove, dalle colleghe o dal supervisore.
Una situazione molto difficile e che si ripete spesso, sono le visite a casa, racconta Elisabeth. “Questo è sempre un momento molto critico per noi, perché entriamo nel privato, viviamo l’ambiente familiare e purtroppo non sempre è un’esperienza positiva.” Queste esperienze possono pesare ed è importante ricevere un aiuto professionale nell’elaborazione del vissuto.
Poi ci sono anche i problemi privati delle terapiste che possono venire a galla e che vanno portati in supervisione. Una regola ferrea della supervisione è fiducia e discrezione assoluta!
Per Elisabeth e Tanja Irene Terzer è già la terza supervisore. Ognuno dei tre aveva un diverso modus operandi, ma ognuna a suo modo ha potuto supportare adeguatamente le fisioterapiste nel loro lavoro, non sempre facile.
Tanja lavora da 16 anni per l ’Assistenza Tumori, Elisabeth dal 2008, quando ha fatto la sostituzione di maternità per Tanja. “Molto spesso ci chiedono, Come fate a lavorare sempre con i malati di tumore? Non è troppo pesante?“, raccontano Elisabeth e Tanja. Invece nessuna delle due cambierebbe lavoro. … La stanza con il lettino è un luogo protetto. Possono prendersi un’ora di tempo per ogni paziente. Condizioni davvero ottimali di lavoro. “E ogni giorno abbiamo l’occasione di imparare qualcosa dai nostri pazienti, ci restituiscono tantissimo.”
Sinistra: Esperta in supervisione, Irene Terzer / In mezzo: Edith / Destra: Tanja
L'ambulatorio a Bressanone

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